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Stanze
Werke aus der Sammlung des Museums für Moderne Kunst Bozen
Gran Paradiso III (Civetta), 1997/98
Langkofel I, 1997/98
Con le sue montagne Huber riprende un motivo che ha avuto una grande importanza nell’arte figurativa e nella letteratura soprattutto a partire dal 18esimo secolo.
Si noti che le montagne per molti secoli non sono state percepite quail manifestazioni estetiche, ma solamente come luogo terribile e avverso alla vita umana contraposto al mondo vivibile e civilizzato. In “Del sublime” di Edmund Burke la montagna diventa poi il punto culminante di un concetto di bellezza che si basa proprio sulla sua ostilità. Le cime innevate, bianche e inaccessibli emanano una bellezza glaciale la cui forza consta proprio nel fatto di non avere bisogno degli uomini e di palesare il dominio incontrastato della natura create da Dio.
Da allora la rappresentazione delle montagne segue una doppia strategia: celebra il concetto di natura la cui sublimità è costituita dalla sua indipendenza dagli uomini. E Placa lo sgomento insito in questo con l’immagine estetica, e in quanto tale godibile e dominabile. Ancora oggi in ogni nuova spettacolare zona sciistica, resa accessibile da quelle corsie di trasporto tra gli alberi sui finachi rocciosi delle montagne chiamate eufemisticamente “impianti di risalita”, vi è un ultimo residuo di questa paradossalità tra nostalgia di sublimità incontaminata e la sua vanificazione per mezzo dello sfruttamento di massa. Huber utilizza proprio questa paradosalità nella sua tematizzazione della montagna.
Le montagne cui fa fiferimento possono essere sia fittizie (come ad esempio il monte in “Incontri ravvicinati del terzo tipo” di Steven Spielberg), che riproduzioni di cime reali precise dal punto di vista topografico. In quanto modelli in gesso diventano appunto costrutti estetici dominabili e collocabili sullo scaffale, costrutti nei quail le ha trasformate una pratica culturale e turistica sviluppatasi nell’arco di secoi.
Stephan Berg, 2001.
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